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COME VI SUONA?

Un invito all'ascolto dei suoni percepibili per lo più ai margini del motivo principale, delle storie sussurrate, di quelle trasmesse attraverso il canto e il racconto di generazione in generazione, che non sono mai state scritte.

  • Jul 26 2022
  • Antonia Alampi
    is a curator, researcher and writer born to southern Italy and currently based in Berlin, where she is Artistic co-Director of SAVVY Contemporary. She is also on the curatorial team of the quadrennial sonsbeek2020-2024. In 2016, she and iLiana Fokianaki initiated the research project Future Climates, focusing on how economic fluxes shape and determine the work of small-scale initiatives in contexts with weak public infrastructures for arts and culture.

Questo testo è stato concepito e pubblicato in versione diversa ed integrale in Force Times Distance. On Labour and its Sonic Ecologies (Catalogo per sonsbeek 20→24). Sono stata allora co-curatrice di questa edizione con la direzione artistica di Bonaventure Soh Bejeng Ndikung e le colleghe co-curatrici Amal Alhaag, Zippora Elders, Aude Christel Mgba e Krista Jantowski.

"Nei tempi bui 
Si canterà anche?
Sì, si canterà anche
Dei tempi bui."

Bertolt Brecht, Motto, 1939

Siamo ancora in un periodo buio, infinito, o meglio: con un inizio che ha una collocazione temporale abbastanza precisa mentre manca una "fine" compiuta o anche solo ipotizzabile. Una sorta di somma di momenti di "attesa" di qualcosa che nella maggior parte dei casi ha sostituito gli incontri, con la distanza - le distanze - che hanno sostituito la prossimità, spesso non solo fisica. Se dovessi provare a tradurre o pensare a queste sensazioni come a dei suoni, sentirei un insieme di schegge musicali disparate, che a volte suggeriscono o evocano brevemente precise sensazioni, ricordi, emozioni, ma che alla fine non riescono a fermarsi su nulla, troppo impermanenti per erigere quelle connessioni che danno senso e direzione alle vite private e collettive. Così, molte persone, come quei suoni, si avvertono in qualche misura sole e anche un po' perse. Forse è per questo che sono riuscita a scrivere solo per frammenti, attraverso aneddoti, piccoli paragrafi con stili di scrittura diversi, assecondando gli umori lunari di questo periodo, come a volte si descrivono le canzoni sul retro della copertina di un LP. 

L'edizione di Sonsbeek „Force Times Distance. On Labour and its Sonic Ecologies“, particolarmente rilevante per il numero 23 di Arts of The Working Class su musica e propaganda, non era facilmente riducibile a un’entità da riassumere in poche righe, ma conteneva una moltitudine di punti di partenza, evocando le più disparate condizioni, traiettorie temporali, prospettive ed esperienze incarnate. L'obiettivo della pubblicazione era quello di invitare all'ascolto dei suoni percepibili per lo più ai margini del motivo principale, delle storie sussurrate, di quelle trasmesse attraverso il canto e il racconto di generazione in generazione, che non sono mai state scritte. Ha incoraggiato i lettori a cercare ciò che è assente nelle immagini dominanti, dove la luce non brilla e i personaggi e gli eventi non sono stati nominati né titolati, perché è stato violentemente ritagliato.  Ha richiamato l'attenzione su ciò che non è mai stato scritto ma non è andato perduto; che è stato salvato cantando, suonando, recitando, danzando, curando. In ritmi polifonici e lingue madri multiple, grazie alle quali memorie, tradizioni, spiritualità, intere cosmologie hanno attraversato oceani e deserti. Tessiture fragili e vulnerabili che sfidano la scomparsa e l'oblio. Ed è ad alcuni di questi sussurri immortali che ha prestato attenzione. 

Parafrasando Salman Rushdie: prima che ci fossero i libri c'erano le storie, i bambini se ne innamoravano e volevano, e vogliono ancora, ascoltarle in continuazione. 

Forse, in questo momento che sembra un accumulo di intermezzi, è in queste storie di forza e resilienza che si può sperare di trovare un'umile ispirazione, uno stimolo, una guida verso una direzione rinnovata e l'amore per la vita.

 

Il silenzio delle Fanciulle

Cantami, o diva, 
del Pelìde Achille l’ira funesta che infiniti addusse
lutti agli achei, 
molte anzi tempo all’orco 
generose travolse alme d’eroi, 
e di cani e d’augelli orrido pasto
lor salme abbandonò (così di giove
l’alto consiglio s’adempia ), da quando
primamente disgiunse aspra contesa
il re de’ prodi Atride e il divo Achille. 

Omero, Iliade, libro I, versi 1-8

Immaginate: è la fine di Troia. La città è in fiamme e i combattenti greci, dopo aver ucciso ogni uomo troiano e ogni donna incinta che sono riusciti a trovare, stanno ora saccheggiando, bevendo, cantando, stuprando in gruppo e selezionando le nobildonne da dividere come premio tra gli eroi. Non è una novità, fa parte di una lunga tradizione e di un aspetto intrinseco alla guerra. I canti, i giochi, le poesie composte dai vincitori sono ciò che ha fondato la loro mitologia e storia. Omero potrebbe essere stato il primo a dare forma scritta a ciò che esisteva come antica tradizione orale precedente. Ma c'erano altri suoni da ascoltare oltre alle canzoni dei vincitori, melodie che non erano così forti né così evidenti. Si trattava di ninne nanne cantate ai bambini nati da padri vincitori di guerra e madri schiavizzate: Ninnananne troiane cantate a bambini greci. È in questo momento di ascolto che Briseide, schiava di Achille e personaggio centrale ma brevemente descritto nel poema, la cui contesa tra Achille e Agamennone sarà il cuore e l'incipit dell'Iliade, realizza improvvisamente qualcosa di così potente da cambiare il corso della sua volontà/pensiero/futuro/destino: "Sopravviveremo - con le nostre canzoni, le nostre storie. Non potranno mai dimenticarci. Decenni dopo che l'ultimo uomo che ha combattuto a Troia sarà morto, i loro figli ricorderanno le canzoni che le loro madri troiane cantavano loro. Saremo nei loro sogni - e anche nei loro peggiori incubi". E qui, possiamo pensare, inizia la politica.

Se otto ore vi sembran poche

"Se otto ore vi sembran poche,
provate voi a lavorare
e trovate la differenza
di lavorar e di comandar".

Le Mondine, Se otto ore vi sembran poche, 1906

È uno dei tanti canti di lavoro attribuiti alle "Mondine", lavoratrici stagionali delle risaie della Pianura Padana (Italia settentrionale), per lo più analfabete ma politicamente influenti grazie alla loro sindacalizzazione nel corso del XX secolo. In questa particolare canzone, incoraggiano i padroni a venire a lavorare, perché è solo lavorando che potrebbero capire perché hanno bisogno di meno ore di lavoro e qual é la differenza tra lavorare, comandare e dare ordini. Chiedono non più di otto ore di lavoro al giorno e una regolarizzazione sia del tempo di lavoro giornaliero sia del salario: un aspetto che risuona ancora di più nelle discussioni sui lavoratori stagionali cosiddetti "migranti" nel settore agricolo. Esiste un'intera tradizione di canti sviluppati dalle Mondine che hanno avuto un'enorme influenza sulla storia musicale italiana, in particolare sulla canzone partigiana. La musica e il canto giocano qui un ruolo fondamentale perché le Mondine non erano in grado di scrivere, mentre cantavano e protestavano per spingere il Parlamento a cambiare le leggi sui (loro) diritti del lavoro, un patto che volevano vedere scritto. La parola scritta è lo spazio del padrone, della legge, del libro sacro, uno strumento a cui non avevano accesso, ma il cui potere era così forte che avrebbe cambiato - credevano - le loro vite. Era quella la forma - pensavano - con la quale i loro diritti e le loro vite si sarebbero trasformati. Vorrei aggiungere che è proprio grazie alle loro canzoni che non potremo mai dimenticarle, che ci accompagneranno per sempre.

Ci vuole il lavoro di generazioni, di intere comunità, per mantenere vive quelle canzoni, quelle storie e con esse tutte le lotte, le sconfitte e le vittorie che le hanno accompagnate. Non come ricordi passati, ma come obiettivi permanentemente incompiuti. Assumersi la responsabilità di questo canto, significa innanzitutto saper ascoltare con attenzione, e questo è molto più che sentire. Significa riconoscere ciò a cui normalmente si rimane sordi e perché. Significa accorgerci di chi non viene ascoltato e di chi ha paura di parlare, e perché. Non lontano nel tempo e nella geografia, ma proprio qui, accanto a noi. A volte, proprio accanto a te. 

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Banner: Patricia Treib, Glint III, 2019, oil on canvas, 183 x 137cm
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This Contribution was released with the support of Rudolf Augstein Stiftung, Bundesverband Soziokultur, Neustarthilfe, Beauftragte der Bundesregierung für Kultur und Medien.

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