SALUTE
Immersa in un mondo di merci, la nostra salute rischia di essere ridotta alla ricetta e alla medicina giusta, oppure a un periodo nelle istituzioni totali e separate dalla vita: ospedali, manicomi, case di riposo. In questi luoghi regnano tecnologie, merce, profitto: le grandi industrie farmaceutiche sono sempre più protagoniste nel progettare le politiche sanitarie. Un’alternativa infernale: ridurre la vita nelle maglie della regola istituzionale, o diventare passivi consumatori della propria salute, suddivisi per marca a seconda di quanto poveri siamo. Ma davvero non c’è alternativa? Come possiamo pensare la nostra salute solo attraverso l’istituzione o il mercato, quando - secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità - il 70% della nostra salute è determinato dalla casa in cui viviamo, dalla qualità della nostra vita, della nostra alimentazione, dei nostri affetti, del nostro reddito e via dicendo?
CURA
Però, di fronte a tutto questo, è lecito dire che la salute è qualcosa di diverso da una medicina da prendere o dalle grandi tecnologie degli ospedali? Bisogna dire che il capitale (che fa profitto sul nostro corpo) e tutte le istituzioni totali non fanno bene al corpo sociale? Se proviamo a pensare non alla salute, ma al diritto alla salute, capiamo che quando ne parliamo dovremmo riferirci a un esercizio reciproco alla base di una cittadinanza aperta: una pratica comune di cura tra tutte le persone. Se l’OMS (1) fa riferimento a determinanti sociali della salute, noi consideriamo invece le determinanti politiche del diritto alla cura, perché quando parliamo di cura, non si tratta di governare socialmente un corpo per renderlo sano e dunque produttivo: si tratta di curarsi insieme quotidianamente in quanto pratica politica, e piena di contraddizioni, per affermare una cittadinanza altra.
DEISTITUZIONALIZZAZIONE
Di fronte alle istituzioni moderne dello Stato e del mercato vogliamo quindi continuare a deistituzionalizzare. Ovvero contrastare e provare a sciogliere le regole istituzionali che, per affermare se stesse e riprodurre il proprio potere, negano la diversità e la divergenza. Deistituzionalizzazione è una parola lunga che racconta una storia lunga, quella che prima a Trieste (2) e poi in altri luoghi ha portato alla chiusura di pochi ospedali psichiatrici, in un mondo ancora pieno di manicomi. Tuttavia, non si tratta solo di chiudere i manicomi, ma di affermare una strategia per cui non possa esistere cura senza emancipazione, e non solo della salute mentale. Cura di una “maggioranza deviante” perché, lo cantava Caetano Veloso, “da vicino nessuno è normale” (3).
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- FOOTNOTES
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1. Organizzazione Mondiale della Sanità.
2. Nel 1971, Franco Basaglia viene nominato direttore dell’Ospedale Psichiatrico Provinciale di Trieste con il mandato di chiudere il manicomio e affermare un’altra ecologia di cura, diciamo noi, per la salute mentale. Questo ha portato negli anni allo sviluppo di un sistema territoriale di centri di salute mentale, cooperative sociali e dispositivi che permettono di chiudere definitivamente l’Ospedale Psichiatrico e, nel 1978, approvare una legge che chiude in tutta Italia, primo paese al mondo, i manicomi. Oggi Trieste, seppur in difficoltà nell’affermarsi di politiche sanitarie neoliberali, continua a essere luogo di sperimentazione e ricerca, nelle pratiche di cura e deistituzionalizzazione.
3. Veloso, C. (1986). Vaca Profana.
IMAGE CREDITS
Ugo Guarino. Imágenes cedidas por el Centro de Documentación de Entrare Fuori.